Archeologia

Il Sinis e Tharros

Tharros e il Sinis

Il Sinis e Tharros, elaborato di Elena Muroni (matr. 21371)

Tharros e il Sinis

Tharros e il Sinis

Il Sinis, per le sue caratteristiche morfologiche e naturali, attirò nel corso dei secoli, l’attenzione dei colonizzatori: il territorio consentiva sia la coltivazione che l’allevamento mentre nei boschi circostanti (ora scomparsi)  era diffusa la caccia agli animali selvatici.
Ma il Sinis fu indubbiamente al centro dei successivi eventi, che portarono la Sardegna nella così detta fase fenicio-punica. Infatti i colonizzatori ed i commercianti del Mediterraneo presero a frequentare (a partire dal  IX secolo a.C.) l’isola, scambiando prodotti artigianali di valore con prodotti agricoli e minerari dei nuragici. La penisola, al centro della costa occidentale, si trovò ad assolvere la funzione di tramite marittimo con le isole Baleari e la Spagna.

Mentre le genti fenicie fondavano Cartagine  nell’VIII sec. a.C., sorgevano sempre più numerosi gli avamposti commerciali lungo le rotte del Mediterraneo occidentale, tra cui  (intorno al VII sec.) vi fu TharrosLa storia del Sinis in questi secoli (IX a.C. – V d.C.) corrisponde con la storia di questa città, disposta in un’area adatta alle esigenze di attacco delle navi fenicie, grazie al Capo San Marco.

Da semplice avamposto di traffici Tharros divenne nel giro di pochi  decenni, una vera cittadina ricca e fiorente tanto da divenire capoluogo dell’intera area del Campidano settentrionale.

Contemporaneamente, sulle attuali coste tunisine si affermava sempre più l’egemonia di Cartagine, inizialmente neutrale rispetto alle iniziative di colonizzazione precedentemente avviate dai conterranei, poi intenzionata ad affermare la propria superiorità in una vasta area di interessi economici, che inevitabilmente provocarono iniziative belliche.

La Sardegna, dove si affermava la pacifica convivenza di genti fenicio-sarde  si inserì subito fra le principali direttive di conquista, attuata tra il 550 ed il 508 a.C.

Quest’ultima non fu certamente semplice per la ferma opposizione offerta dai sardi.

Con la sottomissione ai Punici anche di Tharros, subito quest’ultima aumentò di importanza, per la fondamentale tendenza dei Cartaginesi a realizzare forti produzioni agricole nelle aree più favorevoli; divenne probabilmente la città più importante dell’isola.
Dopo oltre due secoli e mezzo di dominazione, Tharros fu sottoposta ai romani, con il resto dell’isola, nel 238 a.C., si ritiene senza l’uso della forza: gli abitanti, probabilmente, si sottomisero di buon grado alla nuova dominazione.

Il risultato fu un ulteriore sviluppo economico, testimoniato dai ritrovamenti di manufatti prodotti a Tharros in ogni angolo del mediterraneo e, viceversa, dal gran numero di oggetti (ad esempio in metallo prezioso) originari dell’Etruria, della Spagna, della Grecia e dell’Egitto. Pur divenendo prima municipio e poi colonia romana, in seguito però la città sembrò perdere importanza o meglio l’egemonia rispetto all’area  della Sardegna centro-occidentale, anche se i romani rinforzarono le attrezzature portuali e costruirono edifici termali, le strade e le fognature.

Nell’Alto Medioevo vi fu l’invasione da parte dei Vandali: i nuovi dominatori lasciarono in vigore leggi e pratiche economiche precedenti, assicurandosi così la continuità di produzioni locali, come quella cerealicola.

È importante ricordare che parallelamente all’invasione si affermò il cristianesimo grazie all’arrivo nell’isola di vescovi esiliati dalla vicina Africa.

Nel 486 l’isola era stata conquistata totalmente, ed i vescovi sardi parteciparono al Concilio di Cartagine del 484: tra di essi vi prese parte anche il vescovo di Tharros.

Nel 533 l’impero d’Oriente riconquistò la Sardegna; i bizantini diedero una nuva amministrazione all’isola, nominando i judex provinciae.

Ma per il Sinis e per molti insediamenti costieri della Sardegna e del Mediterraneo intero si profilò in questo periodo un nuovo problema, rappresentato dalle scorrerie piratesche  da cui Tharros ne uscì fortemente danneggiata.

Nel corso dei secoli queste incursioni si fecero sempre più pressanti, tanto è vero che da città commerciale passò a centro difensivo, per proseguire fino al 1070, anno in cui gli storici fanno risalire il trasferimento del giudice e degli abitanti in quello che fino ad allora era un piccolo centro agricolo dell’immediato entroterra  Aristanis (Oristano).

Dell’antica città oggi possiamo ancora ammirare il Cardo Maximus, la via di accesso principale della città, lastricata di basalto e con canale di scolo delle acque in ottimo stato, sotto le tavole in legno di protezione; attraverso questa strada si raggiunge il tempio di Demetra e Core ed il tophet punico, l’area riservata per il sacrificio di giovinetti e di animali, quest’ultimo presso le mura puniche della città, spesse circa 6 m.

Sono ben visibili aree dedicate alla sepoltura dei morti come la necropoli  romana di età imperiale, facilmente riconoscibile per le caratteristiche tombe a sarcofago e tombe a cupa (ovvero in muratura).

Proseguendo verso il settore centrale degli scavi si può osservare  il castellum acquae, un serbatoio alimentato dall’acqua piovana e risalente al II-III secolo a.C..

Numerose le case punico-romane e tabernae (botteghe) costituite dal blocco di pietra dell’ingresso, scavato da una scanalatura per lo scorrimento orizzontale della porta ed il notevole tempio punico delle semicolonne (IV-II sec.) scavato nella roccia e accessibile con una rampa di scalini è un esempio unico nel suo genere: dotato di cisterna per l’acqua e costituito da un sacello ed un edicola  (ormai scomparsa) successivamente ad esso si sovrappose un tempio romano.

Gli scavi sono dominati da due colonne (ricostruite all’epoca degli scavi) con capitelli originali di età augustea.

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